Conosciuta localmente come “sardina” è in realtà un agone, ma è chiamata sardina per la sua particolare forma, simile a quella del noto pesce marino.
Il pesce pescato viene subito eviscerato, successivamente lavato in acqua corrente e lasciate sotto sale per almeno 48 ore.
Dopo questo breve periodo di salatura, le sardine vengono poste ad essiccare al sole e all’aria del lago per circa trenta o quaranta giorni.
In passato, per essiccare gli agoni si utilizzavano rami di frassino o carpino, piegati ad arco e tenuti in posizione da fili tesi legati alle estremità: le sardine si infilavano, una ad una, in questi fili, chiamati archèc in dialetto locale. Questa operazione era fatta solo nel periodo invernale, per evitare il caldo, che avrebbe deteriorato il pesce, e anche per scongiurare l’attacco degli insetti, soprattutto delle mosche. A volte gli archèc erano collocati sulle stesse barche dei pescatori. Le strutture di essiccazione oggi si sono evolute, sono più grandi e sono poste su appositi terrazzi ombreggiati.
Dopo l’essiccazione, le sardine vengono disposte in modo concentrico in contenitori di acciaio, oppure di legno, come avveniva in passato, e sono pressate con un peso, o torchiate, per far uscire il grasso, che viene subito eliminato. Dopo questa operazione si ricoprono le sardine con olio di oliva. Si conservano per alcuni mesi, ma durano anche fino a due anni, avendo cura di cambiare l’olio dopo 9 o 10 mesi. Dopo qualche mese di maturazione le sardine diventano dorate e si possono mangiare dopo averle cotte, per pochi minuti, sulla brace ardente. Sono quindi condite con olio, prezzemolo e aglio e servite con polenta: il piatto più tradizionale del lago, dal sapore intenso e particolare.
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